Quanto può fare bene, e quanto può fare male, la ricerca di approvazione sui social? Pubblicare ciò che si fa o una cosa che si crea per cercare approvazione genera il bisogno di creare ancora, di fare sempre meglio.

Questo può creare l’alienazione dalla vita reale fino a rendere superfluo ogni impiego concreto del quotidiano. Si rafforza il bisogno di sentirsi affermati in quel ruolo (fotografo, cuoco, ballerino, sportivo), si rafforza la sensazione che ciò che giornalmente si compie non sia abbastanza appagante, fino a diventare insensato. Si arriva al punto in cui non si riesce a distinguere ciò che piace da ciò che invece genera endorfina.

Praticare consapevolmente la fotografia (o la creazione di video), oggi tra le pratiche più diffuse negli ambienti virtuali, può aiutare. L’obiettivo diventa quello di condividere con persone reali e non virtuali, persone che si conoscono veramente e non è più quello di raccogliere manciate di likes da profili sconosciuti. Si può ipotizzare la frequentazione di gruppi, associazioni o laboratori, per lo sviluppo di materiale multimediale da condividere durante gli incontri. L’obiettivo diventa quello di stampare per arredare, per regalare, per decorare, per prendere coscienza, e non quello di essere presenti su pagine virtuali, per tenere i contatti con chi ci dice che siamo bravi senza dare un senso all’apprezzamento. L’obiettivo diventa quello di tornare a praticare consapevolmente un’attività creativa, per ragionare e comunicare un pensiero, per sviluppare un progetto.

Ma come fare a raggiungere l’equilibrio? Rimanere sui social ma usarli consapevolmente è possibile? Si può fare un uso controllato e quali sono i feedback che ci fanno capire dove dobbiamo arrivare?