1. Richard Avedon – ritratto emozionale
http://www.memecult.it/richard-avedon-ritratto-emozionale/
Avedon è famoso per i ritratti, più che per gli autoritratti. Risulta importante in questo percorso perchè ci insegna a considerare le fotografie come un personale punto di vista:
“Un ritratto non è una somiglianza. Il momento in cui un’emozione o un fatto viene trasformato in una fotografia non è più un fatto in sé e per sè, ma un’opinione. In una fotografia non esistono cose come l’imprecisione. Tutte le fotografie sono esatte. Nessuna di esse è la verità”
Dunque nessuna di esse è la verità, ma una precisa presa di posizione, una opinione. Ed è per questo che l’autoritratto risulta essere importante, perchè l’autore coincide con il soggetto ritratto, ed è per questo che manifesta un atto di profonda introspezione e spesso di liberazione
2. Cristina Núñez
Autoritrarsi per…
Esteriorizzare emozioni: Rendere oggetto una emozione ci aiuta a guardarla con distacco, a considerarla altro da noi (parte di noi, ma non noi per intero), e ad accettarla.
Immedesimarsi: Recitare, interpretare ruoli di personaggi simili o diversi da noi, per conoscere meglio noi stessi. Siamo tante cose e questo esercizio aiuta a buttare giù le barriere e lasciar fluire il bisogno di espressione e la creatività.
Cercare la propria identità: Le etichette creano barriere, invece interpretare dei ruoli aiuta a manifestare emozioni che non avremmo pensato. Questo permette di non sentire limiti, permette di liberarsi dagli stereotipi e di sentirsi liberi di essere ciò che si è.
Condividere: Mostrare agli altri, anche a tantissime persone, la propria identità, l’imperfezione, le emozioni, il dolore, aiuta a dividere con gli altri il peso di ciò che abbiamo dentro, gioia e dolore che sia.
3. Robert Mapplethorpe
Autoritrarsi per…
Esplorare identità.
Attirare l’attenzione, mostrando nei dettagli azioni spesso irritanti perchè non accettate apertamente dalla società.
Sconvolgere stereotipi, mettendo davanti agli occhi dell’osservatore cose realmente esistenti ma considerate tabù. In qualche modo, combattere per la libertà di espressione e di identità (il pudore rende forse ipocriti e anche frustrati?).
Rendersi immortali: rappresentando in prima persona scene crude e dirette quindi difficili da cancellare dalla memoria del pubblico (oltre che nelle opere, anche nella sua vita privata tra amici e conoscenti) ha sempre provato a realizzare un personaggio che non doveva essere dimenticato.
4. Cindy Sherman
Autoritrarsi per…
Immedesimarsi: Diventare qualcun altro, “indossare i suoi panni”, aiuta a capire chi c’è al di la di noi stessi.
Liberarsi: Svestire i propri panni e indossarne altri aiuta la ricerca della propria identità, rende liberi.
Denunciare: Lei si ispira a ciò che vede nelle pubblicità, in tv, nei film. Incarnando ogni immaginario femminile proposto e confezionato dai media, abbatte ogni preconcetto e mette in dubbio l’intero scenario di figure del suo mondo, nei quali tutti cercavano il modello a sè più conforme, abbattendo quindi ogni conformità.
Notare come Cindy Sherman sa comunicare bene; nelle immagini ci si riconosce, ma si nota un senso di sospensione, una sorta di insofferenza.
5. Vivian Maier
Autoritrarsi per…
Documentare (diario) e guardarsi dall’esterno nella vita di ogni giorno, per consapevolizzare, per raccontare, per lasciare una traccia.
Sviluppare un punto di vista, raccontare il proprio modo di vedere il mondo e di vedersi dentro.
Rappresentare uno stato d’animo, non con l’espressione del volto ma in un’ambientazione capace di raccontare (nel suo caso, forse, è la solitudine, l’incapacità di socializzare, sentirsi estranei)
6. Mari Katayama
Autoritrarsi per…
Ricercare la bellezza fuori dagli stereotipi, la perfezione fuori dai canoni, applicando abbellimenti e decorazioni, con fantasia e libertà.
Accettarsi e amarsi, giocando al gioco delle ombre come nel progetto “Shadow puppet”.
Accettare la vita con le sue limitazioni, come nel progetto “On the way home” di ritorno a casa, simbolica riconciliazione con il suo corpo tra oceano e montagne.
Lavorare sull’identità, riappropriarsi di sè lavorando sulla mutazione, determinazione del confine tra artificiale e reale (nel progetto “Bystander” si rivela ibrida e mutante come i nostri tempi, sulle rive di un fiume fortemente inquinato)
https://www.artribune.com/arti-visive/fotografia/2019/12/intervista-mari-katayama/
7. Marta Viola
Autoritrarsi per…
Documentare il momento che si sta vivendo, in una sorta di diario di immagini e testo.
Trovare la forza dentro se stessi, bloccare un’immagine di sé che nella realtà sembra sgretolarsi, cercare di tenere insieme i pezzi.
Aiutare la vista, fissare nitide le immagini che si vedono sfocate.
Prendere confidenza e familiarità con gli ambienti circostanti, nuovi e sconosciuti, difficili da vedere.
Rendere concreto ed accettare con maggiore consapevolezza ciò che c’è di tremendo in un ambiente ospedaliero, rendere concreto ciò che è difficile da accettare, perchè può sembrare assurdo che stia accadendo, e può sembrare assurdo di essere i protagonisti.
Condividere, pubblicando, la testimonianza per sentirsi meno soli, per il bisogno di sentirsi compresi.
8. Jo Spence
Autoritrarsi per…
Documentare ciò che si sta vivendo.
Riappropriarsi della propria figura fisica, vicini o lontani allo stereotipo di perfezione.
Rappresentare e rendere oggetto ciò che spaventa e si deve in qualche modo accettare.
Rappresentare le emozioni (narrative of dis-ease)
Combattere e lottare contro ogni forma di dominio.
Cercare nella fotografia un modo per guarire nell’animo più che nel corpo, non considerando una lotta quella contro il cancro, reclamando la proprietà del proprio corpo.
Condividere e rendere collettivo il proprio dolore, per alleggerirsi e per sensibilizzare gli altri.
9. Francesca Woodman
Autoritrarsi per…
Ricerca della propria identità, intima e profonda, una ricerca nella quale la Woodman sprofonda e si perde perchè profonda e mutevole. La rappresentazione crea un doppio di sè che finisce per assorbire l’originale.
Accettazione del proprio corpo e dei suoi cambiamenti.
Esprimere un disagio, la sofferenza interiore, instabilità e claustrofobia del corpo rappresentata in un ambiente vuoto, un corpo che viene materializzato e si dissolve, viene negato, nascosto e mutilato. Rappresentazione della propria negazione di esistere, sfuggendo dall’obiettivo nel momento in cui si vuole rappresentare.
Esprimere un modo di vedere le cose, in particolare il concetto di corpo come materia che cambia
Esprimere la simbiosi con lo spazio, spazio che si unisce con il corpo e corpo che si assorbe nello spazio.
10. Nan Goldin
Autoritrarsi per…
Scrivere un diario visivo e conservare la traccia della vita intima di se e di chi è vicino, dando un senso a ciò che si vive ogni giorno. “Consentire di vivere per sempre”.
Esprimere concetti difficili, come quello della difficoltà di amare, la difficoltà di comunicare, la difficoltà di vivere insieme ad un’altra persona, la solitudine nella coppia, la sofferenza di una separazione (The ballad of sexual dependency)
Prendere le distanze e guardare con gli occhi dell’osservatore qualcosa che si vive in prima persona, per confinare la sofferenza e renderla oggetto.
Raccontare con i ritratti degli altri, scene che non si vorrebbero vedere ma nelle quali ci si identifica, fino a trovare qualcosa di proprio ed affrontare le proprie sofferenze.
Portare la vita quotidiana nell’arte (e non l’arte nella vita quotidiana, come si era abituati a considerare). L’arte infatti in questo caso non è una denuncia, ma verità della condizione umana.
11. Sophie Calle
Idee per autoritratti creativi
https://expertphotography.com/21-creative-self-portrait-photography-ideas/
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